Arezzo e Vicenza, crack annunciato. Ripescaggi bocciati. Giovannino in Lega recita da padre padrone

06.03.2018 20:00

Storie parallele, o quasi, quelle di Vicenza e Arezzo. Due tristi vicende. Il calcio finito nella mani di alcuni “turisti” del pallone che hanno mortificato la tradizione sportiva di due città che in passato hanno recitato, da protagoniste, in palcoscenici di prestigio. Encomiabile sia ad Arezzo che a Vicenza il tentativo di salvataggio (economico) che stanno mettendo in atto alcuni appassionati. Con una pregiudiziale, però. Si sta facendo confusione pensando di poter risolvere il problema con la politica della “colletta”. Nella realtà occorre, esclusivamente, quella della “programmazione”.

L’autotassazione dei tifosi rastrella cifre che, seppure importanti, non potranno mai essere sufficienti. Il sacrificio di tanti “piccoli” portatori d’acqua che il tempo potrebbe rendere inutile. Errato immedesimarsi nel presente con la convinzione che al futuro “poi si pensa”. La professionalità e l’esperienza di un curatore fallimentare (De Bortolo a Vicenza) risulteranno fine a se stesse se non supportate dalla capacità manageriali di imprenditori, concretamente interessati ai colori biancorossi, capaci di ragionare a sistema e in grado di lavorare, con tempi e metodi, su un piano industriale a medio termine.

Delicata, molto, la situazione di Arezzo. La necessità immediata di risorse economiche stride con la possibilità che il tribunale fallimentare possa eventualmente autorizzare, dopo la metà di marzo, l’apertura dell’esercizio provvisorio. Per ottenerlo serviranno garanzie, serie, che esistano le risorse (circa un milione di euro) per arrivare in fondo alla stagione. Da qui la decisione di Gabriele Gravina di sospendere anche le prossime due gare degli amaranto. Un intervento, il suo, a tutela della regolarità del campionato. L’anticamera di quanto già accaduto a Modena.

La precaria posizione di classifica e la nessuna garanzia che il curatore, eventualmente nominato, potrebbe offrire sull’esito dell’asta fallimentare, tale da favorire chi volesse anticipare quella somma, scoraggiano l’inserimento, nell’opera di salvataggio, di qualsiasi imprenditore/investitore degno di tale nome.

Duro da digerire, ma il destino dell’Arezzo sembra già segnato.

Negli ultimi 15 anni sono state escluse dai campionati professionistici italiani ben 146 squadre (tutte fallite o che hanno avuto problemi ad iscriversi, pur avendone titolo). Tra queste anche Fiorentina, Napoli, Torino e Parma. Tredici invece le squadre che per ben due volte si sono viste negare l’iscrizione al campionato: Ancona, Cosenza, Imolese, Mantova, Messina, Monopoli, Perugia, Pro Vercelli, Rimini, Sambenedettese, Spal, Torres, Venezia. 

Sul crack economico del calcio italiano, come evidenziano gli eventi, ci sarebbe da scrivere un “poema”.

Un argomento che riporta d’attualità il format del campionato di serie C e l’inopportunità di ripercorrere la strada dei ripescaggi nel tentativo di allestire tre gironi da  20 squadre. Per il grande dispendio di risorse economiche previsto dalle norme (lo scorso anno erano 300mila euro contanti, a fondo perduto). Per la carenza delle infrastrutture e degli impianti di tante città. Per quella norma che vieta, ai club che ne hanno già usufruito negli ultimi cinque anni, di trarne nuovamente vantaggio. Ricorrendo ulteriormente ai ripescaggi si rischierebbe di fare un flop. Mai riuscendo a raggiungere, come lo è stato per la stagione in corso, il numero richiesto. Il tutto alla luce delle ultimenegative “esperienze”. Il richiamo a Como, Maceratese, Mantova, 
Messina (mentre il Latina era già fallito a giugno scorso), Modena, Vicenza e ora, buon ultimo, Arezzo è inevitabile. Come è inevitabile evidenziare la precaria situazione di Matera, Akragas e di tutte le altre Società già deferite o che rischiano la penalizzazione nella stagione in corso. Sarebbe allora sufficiente una modifica agli articoli 49 e 50 delle carte federali. Stabilendo che per la Serie C, in attesa della indispensabile riforma, ci si possa attestare su un minimo, senza ripescaggi, che non vada al di sotto (per il momento) delle 40/44 squadre. Il tutto applicando le norme alla lettera. La selezione fisiologica è già in atto da tempo. E’ sufficiente che le istituzioni del calcio la assecondino. Provare per credere.

La Lega di Serie A sembra avviata verso la soluzione dei suoi problemi. Giovanni Malagò, il 5 marzo scorso in sala stampa, al termine dell’assemblea della Lega di Serie A, ha reso ufficiali alcune decisioni che sono state assunte da quell’assise. All’unanimità. La scelta, in primis, del presidente di Lega epoi le date della campagna trasferimenti per la prossima stagione sportiva. Nulla da obbiettare sulla prossima nomina a presidente di Gaetano Miccichè, tra l’altro numero uno di Banca Imi, l’advisor che ha accompagnato Urbano Cairo nell’acquisto del gruppo Rcs. Un po’ meno sulla questione date dei trasferimenti. Il riferimento è sull’uso della forma. Pur apprezzando il saggio principio di renderla attiva soltanto a campionati fermi (peraltro ripetutamente suggerito, in passato, anche da chi scrive). La norma, in materia, recita che le leghe propongono (le date) ed il consiglio federale ratifica. Un compito che nel presente, rientra tra le competenze del commissario straordinario della Federcalcio Roberto Fabbricini. Che ha delega e potere di rendere pubblico il provvedimento attraverso un dettagliato comunicato ufficiale. Da lui sottoscritto, unitamente all’attuale segretario generale Antonio Di Sebastiano. A meno che Giovanni Malagò, con questi messaggi trasversali, non voglia far comprendere la sua volontà di recitare, nel presente, un ruolo da padre padrone anche nel calcio. Nel senso che non si muove foglia che “Giovannino" non voglia. Intesi?

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