Ex Ilva, Legambiente: “Decarbonizzazione solo a parole”
L’accusa: “Nessuna vera transizione, il piano del Governo è solo fumo negli occhi”

Nessuna novità concreta è emersa dall’ultimo incontro tra il Governo e i sindacati sul futuro dell’ex Ilva di Taranto. Secondo Legambiente, il piano discusso, incentrato su tre forni elettrici da realizzarsi in dodici anni, impianti per il preridotto alimentati a gas e un sistema di cattura della CO₂, rappresenta tutt’altro che una vera decarbonizzazione. Per l’associazione ambientalista, si tratta piuttosto di un’operazione di green washing, che rischia di mantenere attivi per troppo tempo gli impianti del vecchio ciclo integrale, basati sull’uso del carbone.
A preoccupare Legambiente non è solo la durata del piano, con un forno ogni quattro anni, ma anche il fatto che le tecnologie previste siano considerate obsolete, inefficienti e potenzialmente pericolose. Gli altiforni di Taranto, risalenti al secolo scorso, continuano a richiedere ingenti investimenti per funzionare, con un impatto ambientale e climatico elevatissimo.
Secondo le stime, per produrre 4 milioni di tonnellate di acciaio con l’attuale sistema sarebbe necessario acquistare quote di emissione per 2 milioni di tonnellate di CO₂, per un costo stimato di 150 milioni di euro.
“In Europa si investe solo nei forni elettrici: ne sono previsti 28 entro il 2030, per una capacità produttiva di 43 milioni di tonnellate. Le emissioni medie di CO₂ sono pari a 100-200 kg per tonnellata di acciaio, contro gli 1.800-2.000 kg dei vecchi altiforni”, denuncia Legambiente.
Nel documento dell’associazione si sottolinea l’assenza, nelle recenti dichiarazioni governative, di qualsiasi riferimento all’idrogeno verde, che invece dovrebbe essere il pilastro della riconversione sostenibile. In Svezia, ricorda Legambiente, H2Green Steel produrrà acciaio con solo idrogeno verde già dal 2026, con un obiettivo di 7 milioni di tonnellate a regime. “È questa la strada da seguire se si vuole davvero decarbonizzare Taranto”, si legge nella nota.
Resta inoltre il tema della cattura della CO₂, tecnologia datata e poco diffusa: oggi sono solo una cinquantina gli impianti CCS attivi nel mondo, in grado di catturare lo 0,1% delle emissioni globali. Una soluzione costosa, non scalabile, e non sufficiente per rendere green il polo tarantino.
Legambiente richiama infine la destinazione dei fondi europei: “Gli 800 milioni del Just Transition Fund sono stati stanziati per favorire la transizione, non per mantenere lo status quo con impianti alimentati a carbone”.
Per l’associazione, la transizione deve iniziare subito: abbandonare il ciclo integrale prima del 2030, investire in idrogeno verde, sostituire cokerie e altiforni con tecnologie pulite. Solo così, conclude Legambiente, si potrà parlare seriamente di futuro sostenibile per Taranto. Altrimenti, sarà solo green washing.