Distanziamento sentimentale, ora lo strappo va ricucito

Giove ama il calcio ed è un suo diritto continuare a farlo. Ma è giunta l’ora di un drastico cambio di rotta. Va aggiornata la strategia

TARANTO
15.09.2020 11:20

Massimo Giove, presidente del Taranto

Di Lorenzo D'Alò per là Gazzetta del Mezzogiorno Domani la composizione dei nove gironi, sabato o domenica il calendario, il 27 l’esordio in campionato, che potrebbe anche avvenire allo «Iacovone». In un’altra epoca, avremmo scritto che cresce l’attesa per vedere all’opera il nuovo Taranto. Oggi no, non è possibile. Oggi possiamo solo riferire di una vigilia placida, annoiata, quasi distratta. Siamo all’alba di una stagione già pesantemente condizionata dall’evoluzione della pandemia e non c’è curiosità attorno al Taranto. Mai accaduto in precedenza, neppure dopo le annate più sciagurate. È un fatto e bisogna prenderne coscienza. Ci sono stati i giorni del blindatissimo ritiro di Pietralunga: tanta fatica, pochi indizi e qualche sbavatura organizzativa. C’è stata la ripresa in sede. E poi i primi test: gol, immagini, sensazioni. Niente da fare. Nulla sembra in grado di smuovere l’indifferenza che ormai genera il Taranto, scivolato ai margini della discussione sul calcio. Una irrilevanza che andrebbe indagata. Che sta succedendo? Dove sono finiti i tifosi? E quella massa critica, che da sempre accompagna ogni forma di Taranto, compresa la più sghemba e improbabile, perché ha improvvisamente smesso di premere? Qual è la causa di questa specie di distacco? È sbagliato il Taranto? O sbaglia chi, non riuscendo più a distinguere ciò che gli viene offerto, trasforma tutto in dissenso? Sono domande legittime. E servono risposte decisive. Adesso, prima che il disinteresse (palpabile, diffuso) precipiti in disaffezione, di tutti i «mali» il peggiore perché intacca i ricordi, distrugge la speranza, spezza l’incantesimo. Ciò che affligge oggi il Taranto è una sorta di distanziamento sentimentale. Vive «separato» dal suo popolo, che infatti marcia lontano. Popolo che forse, dopo l’interruzione di un altro campionato irrisolto, auspicava un momento di discontinuità nella gestione del club. Immaginando per sé e per i colori rossoblù un futuro meno ambiguo, finalmente radioso. È, dunque, la spinta del suo popolo che non riesce più a trovare il Taranto. E tocca a Giove recuperarla, liberandosi dalla sindrome della «cittadella assediata» da difendere dagli invasori esterni: dagli assalti di chi vorrebbe conquistarla, magari senza indennizzarlo adeguatamente, come dalla lecita curiosità di quanti vorrebbero capire che cosa incombe. Giove ama il calcio ed è un suo diritto continuare a farlo. Ma è giunta l’ora di un drastico cambio di rotta. Va aggiornata la strategia. Bisogna rompere l’isolamento e cercare di coinvolgere. Va ricostruito un ambiente e servono idee, contenuti, aperture. Il calcio è passione condivisa. Senza condivisione non è calcio, ma un surrogato insipido. L’entusiasmo non tornerà con le partite, se il popolo continuerà a guardare altrove.  

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