2 agosto 1980: le vittime pugliesi della Strage di Bologna
(Di Mimmo Galeone) Esattamente 45 anni fa, il 2 agosto 1980, alle ore 10.25, la “strategia della tensione” toccò in Italia il culmine della ferocia e dell'orrore. Alla stazione di Bologna 25 chili di esplosivo, piazzati in una valigia in sala d'aspetto, causarono la morte di 85 persone. I feriti furono oltre 200.
A oggi sono stati condannati in via definitiva i terroristi Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. Per attività di depistaggio il capo della loggia P2 Licio Gelli, gli ufficiali dei servizi segreti Pietro Musumeci e Francesco Belmonte, nonchè il faccendiere Francesco Pazienza. Con la sentenza del 1° luglio 2025, la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva all'ergastolo anche Paolo Bellini. Condanne, inoltre, pure per l'allora ufficiale dei Carabinieri Piergiorgio Segatel (6 anni per depistaggio) e per Domenico Catracchia (4 anni per false informazioni).
A distanza di tanti anni, tuttavia, restano zone d'ombra inquietanti e verità ancora inconfessabili; soprattutto sul ruolo degli apparati deviati dello Stato, con i depistaggi che iniziarono il giorno stesso. La storia processuale è stata altresì lunghissima, accidentata e contraddittoria. Un vero calvario: per le vittime, per i parenti, e per tutti i cittadini che hanno tutto il diritto di identificarsi in uno Stato giusto e credibile.
Furono sette le vittime pugliesi dell'orrenda carneficina, tutte originarie di Bari. La famiglia Diomede Fresa era in procinto di partire per una vacanza. Il papà Vito (62 anni), medico impegnato nella ricerca sul cancro e direttore dell'Istituto di patologia generale alla facoltà di Medicina di Bari. La mamma, Errica Frigerio (57 anni), professoressa di Lettere; e il figlio Cesare Francesco (14 anni). Furono travolti in pieno e senza scampo dall' esplosione. Silvana Serravalli, maestra elementare di 34, perse la vita insieme alle nipoti Sonia Burrai, di solo 7 anni e Patrizia Messineo (18 anni), appena diplomata in Ragioneria. Infine l'elettricista Giuseppe Patruno, diciottenne anche lui, era in compagnia del fratello Alessandro, più piccolo di un anno: rientravano da una vacanza a Rimini. Il maggiore dei fratelli Patruno, che si trovava sul primo binario, accelerò il passo e non ebbe scampo al momento della deflagrazione. Il fratello Giuseppe, attardatosi, pur ferito, riuscì a salvarsi.
