Paolo Rossi: Carriera, dalla Juve al Milan passando per Vicenza e Perugia

Il rifiuto al Napoli e la valutazione spropositata del suo cartellino nel 1978

Calcio Varie
10.12.2020 09:26


Paolo Rossi cominciò a giocare a calcio nel Santa Lucia, squadra della frazione di Prato in cui è nato. Dopo aver passato una stagione nell'Ambrosiana (altra società pratese), si trasferì alla Cattolica Virtus, a livello giovanile una delle principali società di Firenze, in cui approdò all'età di dodici anni. A quell'età, però, il vero divertimento del giovane Paolo era giocare con il fratello Rossano all'uliveta di Santa Lucia, a due passi da casa. Nel 1972, a sedici anni, passò alla Juventus nonostante in famiglia fossero contrari, come ricordò lo stesso Rossi in un'intervista: «Non è stato facile, ai miei genitori non è che l'idea andasse molto. Sono rimasti scottati dall'esperienza di mio fratello, anche lui in bianconero, che dopo un anno è stato rispedito a casa. Mia madre non ne voleva sapere di mandare a Torino un altro figlio così giovane, così mio padre consigliò al dottor Nesticò, un dirigente della Cattolica, di sparare una cifra alta, per dissuadere quelli juventini, ma non ci fu verso. Italo Allodi venne a casa nostra e alla fine per quattordici milioni e mezzo faccio la valigia». A Torino, tuttavia, il suo percorso nelle varie selezioni giovanili fu spesso interrotto da una serie impressionante di infortuni: addirittura tre operazioni di menisco nel giro di due stagioni. Nonostante ciò, il 1º maggio 1974 esordì in prima squadra in un incontro di Coppa Italia a Cesena; non ancora diciottenne, giocò per la prima volta con Dino Zoff, Claudio Gentile e Franco Causio, con cui poi si sarebbe laureato campione del mondo. Nella stagione successiva collezionò altre 2 presenze nella competizione prima di passare nel 1975 al Como. Qui però le cose non andarono bene: Rossi scese in campo soltanto 6 volte nell'arco dell'intero torneo senza riuscire ad andare a segno. La svolta della carriera però era dietro l'angolo: la Juventus convinse  il Lanerossi Vicenza, nell'estate 1976, a prenderlo in compartecipazione. A Vicenza, Rossi trovò nel tecnico Giovan Battista Fabbri, per sua stessa ammissione, un secondo padre che gli diede fiducia e lo aiutò a crescere; l'allenatore emiliano segnò una svolta nella carriera di Rossi grazie anche allo spostamento in campo da ala a centravanti. Importante anche il rapporto instauratosi col numero uno del club vicentino, Giuseppe Farina, che Rossi ritroverà poi nel decennio seguente sulla sponda rossonera di Milano, e che così ricordò: «È stato un presidente unico, pur con tutti i suoi difetti. Aveva personalità, umorismo. Era uno che ci sapeva fare e con cui era estremamente piacevole passar del tempo. Sotto altri aspetti, nella gestione della società, poteva essere anche un duro, probabilmente era un presidente d'altri tempi. Secondo me Farina era una spanna sopra gli altri, aveva delle idee innovative. Mi ricordo che il primo anno di Serie A si era inventato l'abbonamento biennale per farsi anticipare i soldi che gli servivano, all'epoca sembrava incredibile che certe idee potessero uscire dalla mente di una persona, ma lui era così, aveva queste intuizioni». Nella sua stagione d'esordio in biancorosso, Rossi venne subito schierato titolare, mantenendo il posto in squadra per tutta l'annata. Alla fine del campionato 1976-1977 si laureò capocannoniere della Serie B con 21 reti, che permisero al Lanerossi di conquistare la promozione in A. Il presidente Farina aumentò l'ingaggio di Rossi da 8 a 50 milioni e lo convinse a restare; infatti, nonostante l'ottima stagione, la Juventus decise di non riscattare l'idolo di Vicenza preferendogli Pietro Paolo Virdis. Nella stagione 1977-1978 la neopromossa squadra berica faticò all'inizio a trovare vittorie. Riuscì a riprendersi a metà del girone d'andata e Rossi segnò persino due doppiette ai danni di Fiorentina e Roma, guadagnandosi le prime pagine dei giornali. Nel girone di ritorno seguì una doppietta al Perugia e un gol alla Juventus nella sfida scudetto finita 3-2 per i bianconeri. Il Vicenza concluse quel campionato al secondo posto, trascinato da un Rossi miglior marcatore dell'anno con 24 gol. La sua prestazione convinse Enzo Bearzot a convocarlo al campionato del mondo 1978 in Argentina. Nell'estate 1978 Rossi fu protagonista di un clamoroso affare di mercato tra Farina e il numero uno juventino Giampiero Boniperti: per la risoluzione della comproprietà del giocatore, le due società furono costrette ad andare alle buste e il presidente vicentino richiese una cifra volutamente troppo alta al fine di tenere il giocatore: 2 miliardi e 612 milioni per metà cartellino. Quel prezzo destò scandalo in Italia creando tutta una serie di contrastanti reazioni, anche politiche (la conseguenza più eclatante furono le dimissioni di Franco Carraro dalla FIGC). Disse Farina: «Mi vergogno, ma non potevo farne a meno: per vent'anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l'arte, e Paolo è la Gioconda del nostro calcio». La notizia dell'esito dell'asta fu data da Nando Martellini mentre commentava l'incontro di preparazione ai Mondiali sudamericani tra Italia e Jugoslavia all'Olimpico di Roma. La stagione 1978-1979 fu negativa per Rossi. Il giocatore, infatti, subì un nuovo infortunio al ginocchio (colpito duro dallo stopper dei cecoslovacchi del Dukla Praga, Macela, durante il match d'andata di Coppa UEFA) e i suoi 15 gol non bastarono a salvare la squadra da un'incredibile retrocessione in Serie B, impronosticabile dopo il secondo posto dell'anno prima. Pochi giorni dopo il declassamento biancorosso, i giornali annunciarono il passaggio di Rossi al Napoli, ma il giocatore negò la cosa e affermò: «Lo spiego a Giorgio Vitali, il direttore sportivo che fa di tutto per convincermi: “No grazie, per me viene prima la vita e poi la professione, il calcio. E se devo invertire l'ordine delle cose ci devo pensare non una ma cento volte. Che vengo a fare a Napoli, il salvatore della patria? Con la gente che, me lo raccontava Sivori tempo fa, mi compra le sigarette e dorme per strada sotto casa mia, per vegliarmi: sono molto cari, ma non sono la persona giusta. Io posso offrire la mia personalità in campo, posso offrire calcio, ma da voi questo non basterebbe». Col Lanerossi retrocesso, Rossi rimase in massima categoria passando al Perugia, in quegli anni rampante "provinciale" in ascesa. La formula della cessione, perfezionata tra Giussy Farina e il presidente dei grifoni Franco D'Attoma, era il prestito per due annate (500 milioni a stagione). Proprio il trasferimento del giocatore a Perugia segnò una sorta di spartiacque nel panorama calcistico nazionale: infatti, per finanziare l'oneroso arrivo in Umbria dell'attaccante, D'Attoma mise in piedi la prima sponsorizzazione di maglia. Fu un debutto assoluto poiché mai prima d'allora, in Italia, una divisa da gioco era stata "griffata" da un marchio commerciale; Rossi e il Perugia furono i primi a rompere questo tabù. L'unica stagione di Rossi coi grifoni fu fortunata per quanto riguarda le realizzazioni: 13 gol in 28 gare di campionato e 1 rete in 4 partite di Coppa UEFA. Il giocatore fu a lungo il capocannoniere della Serie A (chiudendo poi terzo in questa graduatoria), ma ciò nonostante la formazione perugina non riuscì a ripetere il campionato di vertice della precedente annata, anche a causa dello scoppio in primavera dello scandalo scommesse che finì per coinvolgere, lo stesso Rossi. Sandro Mazzola, all'epoca dirigente dell'Inter, si interessò subito a lui, ma all'ultimo momento si tirò indietro. Boniperti ritornò a interessarsi e riuscì, stavolta, a portarlo con sé in bianconero, nonostante i dodici mesi di squalifica ancora da scontare. Rossi ricordò così la fiducia del presidente della Juventus: «Boniperti mi chiamò: "Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri". Mi sono sentito di nuovo calciatore. La lettera di convocazione adesso farebbe ridere. Diceva di presentarsi con i capelli corti, indicava cosa mangiare e cosa bere. Boniperti era un mago in queste cose. Quando arrivai mi disse: "Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo". Mi sono sposato a settembre. L'avrei fatto lo stesso, diciamo che sono stato un po' spinto. Comunque devo ringraziare lui, Trapattoni e Bearzot». Frattanto, in questo periodo di forzata lontananza dal calcio italiano, per Rossi parve profilarsi la possibilità di un approdo nel soccer nordamericano. Sul finire del 1980 scese infatti in campo con i Buffalo Stallions, franchigia statunitense allenata da Adolfo Gori, per un'amichevole preparatoria al locale campionato indoor; tuttavia tale scenario non si concretizzò, rimanendo questa l'unica apparizione oltreoceano del calciatore. La pena relativa al Totonero terminò nell'aprile 1982, Rossi fece in tempo a giocare le ultime tre partite di campionato coi piemontesi, realizzando anche un gol all'Udinese e conquistando così lo scudetto, il 20º nella storia del club torinese. Il suo ritorno fu commentato così dal giocatore: «Non ricordavo più l'emozione di una partita vera. Due anni di silenzio mi hanno maturato. Proprio in questo momento mi dico: non c'è solo il calcio». Alla fine dell'anno solare, dopo aver vinto il Mondiale di cui fu anche capocannoniere, Rossi fu insignito del Pallone d'oro, terzo italiano a riuscirci dopo Gianni Rivera e Omar Sívori. In quell'anno si recò da Boniperti per farsi rinnovare il contratto: a proposito della necessità di allevare i figli, Rossi chiese al presidente di aumentargli lo stipendio e a questa frase Boniperti si infuriò con il giocatore, rifiutandosi di firmargli il contratto; alla contestazione di Rossi si unirono anche i compagni Tardelli e Gentile, motivo per cui, dopo qualche anno, Boniperti deciderà di cederli a loro volta. Nell'annata successiva Rossi contribuì con 13 gol alla conquista del titolo nazionale, nonché al trionfo nella Coppa delle Coppe vinta a Basilea contro i lusitani del Porto. Nella stagione 1984-1985 arrivarono poi la Supercoppa UEFA e la Coppa dei Campioni, entrambe contro gli inglesi del Liverpool. Dopo questa stagione, stanco del poco utilizzo in campo e dei dissidi con Boniperti, Rossi decise di lasciare il club torinese che lo cedette al Milan di Farina (già suo presidente a Vicenza) per 5,3 miliardi di lire. Il giocatore ricordò così la sua esperienza a Torino: «In bianconero ho vissuto dei momenti molto belli, ma anche alcuni molto brutti. A un certo punto ero stufo di calcio, andavo agli allenamenti perché ero costretto. Mi sembrava che attorno a me mancasse totalmente la fiducia, quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dell'ingaggio, quando avevo chiesto qualche soldo in più. Oltretutto nella Juventus giocavo in una posizione poco congeniale alle mie caratteristiche, ma mi sono adattato, anche sacrificandomi. Alla Juventus ho imparato tantissime cose, la società voleva confermarmi ma io, ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria». Il neoacquisto Rossi al Milan nell'estate 1985 insieme a Giussy Farina, già suo presidente a Vicenza. Arrivato a Milano nel 1985, Rossi firmò un contratto biennale da 700 milioni l'anno, vestendo la maglia numero 10 che fu di Gianni Rivera. Insieme a Hateley e Virdis formò il tridente d'attacco noto come Vi-Ro-Ha. La stagione rossonera con Nils Liedholm in panchina non fu positiva per Rossi, che saltò per infortunio le prime 10 gare di campionato e trovò la rete solo in 2 occasioni, entrambe nel derby pareggiato 2-2 con l'Inter. Condivide con Gianni Comandini il record di aver segnato due gol nella prima stracittadina meneghina disputata. Rossi ricordò tale exploit con grande entusiasmo, paragonandola alla vittoria contro il Brasile di tre anni prima: «Mi sembrava di essere al mundial. Se l'Inter avesse avuto le maglie gialle come quelle del Brasile forse avrei fatto tre gol. Ma va bene così, non ricordo nemmeno io quando realizzai l'ultima doppietta».Entrato nella trattativa che portò Giuseppe Galderisi a Milano, disputò la sua ultima annata da professionista in provincia, nel Verona. Con la maglia degli scaligeri giocò 20 partite in Serie A realizzando 4 gol, di cui 3 su calcio di rigore e uno solo su azione (decisivo nella vittoria in extremis sul Torino del 18 gennaio 1987), contribuendo alla qualificazione in Coppa UEFA della squadra gialloblù, quarta a fine campionato. Al termine della stagione, preda di problemi alle ginocchia che lo tormentavano sin dagli inizi della carriera, diede l'addio definitivo all'attività agonistica, all'età di trentuno anni.

 

 

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