L’invaso Pappadai
L’invaso Pappadai

La Rete in difesa del Fiume Tara torna a criticare duramente il progetto del dissalatore di Taranto, definendolo un “errore strategico” e una “cattedrale nel deserto” che non risolverebbe la crisi idrica pugliese.

La Rete accusa Acquedotto Pugliese (AQP) di “esercitare pressione psicologica sull’opinione pubblica” evocando, attraverso comunicati stampa, il rischio siccità per giustificare un’opera giudicata inefficace e dannosa per l’ambiente.

Il comunicato stampa di AqP segnalato dalla Rete in difesa del Tara

Secondo gli attivisti, il problema della scarsità d’acqua in Puglia è legato a una gestione inefficiente delle risorse già disponibili, come l’invaso del Pappadai, “pieno ma mai utilizzato”. “Si è preferito puntare su un impianto sovradimensionato e collocato in un’area agricola vincolata, invece di recuperare infrastrutture esistenti”, si legge nel documento.

La Rete contesta anche i tempi e i costi del progetto. Nonostante l’opera sia stata dichiarata strategica e finanziata con fondi PNRR, il cronoprogramma di AQP prevede lavori per almeno 450 giorni, rendendo impossibile rispettare la scadenza del 31 marzo 2026. “I 27 milioni di euro di quota PNRR andranno persi”, denunciano. Inoltre, l’importo complessivo sarebbe salito da 90 a 130 milioni di euro, con un incremento di oltre il 40%.

Il comunicato solleva anche preoccupazioni ambientali: il dissalatore produrrebbe salamoie e residui chimici di cui non è noto il destino, minacciando l’ecosistema del fiume Tara e del Mar Grande.

Per la Rete, le vere priorità dovrebbero essere il recupero dell’invaso del Pappadai, la manutenzione delle reti idriche (che perdono fino al 50% dell’acqua) e una gestione sostenibile delle risorse in linea con i cambiamenti climatici.

“La crisi idrica non si risolve moltiplicando le cattedrali nel deserto, ma recuperando ciò che è stato colpevolmente abbandonato”, conclude la nota.

L’invaso Pappadai