Taranto: Da Stracqualursi a Diaby, Montervino si confessa

Lunga è interessante intervista rilasciata al collega Lorenzo D’Alò de La Gazzetta del Mezzogiorno

TARANTO
05.01.2021 12:42


Il virus rallenta la marcia del Taranto. Anzi, la ferma. Saltano la sfida col Fasano (oggi) e il derby con la Fidelis Andria (domenica). Il 2021 comincia in maniera sbilenca (eufemismo). Vengono a mancare le partite, proprio quando il campionato sembrava potesse regalare un po’ di regolarità. La pandemia non fa sconti. Brutto colpo. C’è, però, tempo per riflettere. E spazio per le parole che, a volte, sono un toccasana, specie se aiutano a migliorare il silenzio. Alle domande che seguono, risponde Francesco Montervino, 43 anni a maggio, direttore sportivo del club rossoblù. Il virus impone la frenata. Gira voce che il focolaio sviluppatosi all’interno del gruppo-squadra possa, in qualche modo, rimandare a comportamenti poco professionali. È davvero così? Ci sono indagini in corso? «Non è il caso del Taranto. I ragazzi non sono mai andati a casa, a parte durante la sosta natalizia. Hanno sempre tenuto un comportamento irreprensibile. Purtroppo la propagazione del contagio quando si frequenta uno spogliatoio è praticamente incontrollabile. Basta un niente. Lo dico per esperienza personale. A me bastò un passaggio veloce nella casa dei miei genitori per contagiare papà, mamma e sorella. Sfrutteremo l’interruzione per svuotare completamente l’infermeria e accelerare l’integrazione dei nuovi arrivati. Vietato perdere la fiducia» Tutto ciò che accade nel Taranto spesso è una replica, segue uno schema. È già successo. Stavolta, però, sembra diverso. Avverte anche lei questa diversità di fondo? «Forse rinviene dal tentativo di non ricadere negli errori di sempre. Parlo di ciò che è successo nel passato recente e, soprattutto, durante le mie gestioni precedenti. C’è uno sforzo in atto e si tende a fare meglio. Un salto di mentalità: ecco cosa serve. Ho una visione del calcio, che mi deriva dal mio vissuto sul campo e fuori dal campo: voglio metterla a disposizione». Si aspettava il Taranto in testa alla classifica dopo nove giornate di campionato? «Non ce l’eravamo prefissato come obiettivo. Ma devo essere sincero: ci ritroviamo qualche punto in meno. Penso alla sconfitta col Sorrento: non meritavamo di perdere. Penso ai pareggi con Casarano e Gravina: dovevamo finire di vincere. Facile tirare le somme». Al Taranto molti addetti ai lavori riconoscono il dono dell’equilibrio dopo averlo visto all’opera. Ma che cosa è l’equilibrio in una squadra?
«Potrei anche non saperlo, dopo 25 anni di calcio. Ma so che significa averlo. Parliamo del Taranto. C’è sicuramente, e si nota in campo, un equilibrio dentro la squadra: subisce poco, restituisce il giusto. Miglior difesa del girone, quarto miglior attacco. Equilibrio anche nei numeri. Poi c’è, e va sempre assicurato, un equilibrio attorno alla squadra. Saper leggere i momenti, creare un cuscinetto tra l’ambiente e il gruppo. Fare in modo che gli sbalzi di umore non intacchino le certezze della squadra. Non è meno importante, credetemi». Non potersi attribuire la paternità di tutte le scelte che hanno portato alla costruzione del gruppo la infastidisce? «Non è così. L’unica trattativa già chiusa era quella di Corvino, che però avrei comunque preso. E l’unico rimpianto che ho è non aver scelto l’allenatore. Nel senso che un tecnico come Laterza avrei voluto portarlo io a Taranto. Poi ci sono le chiacchiere che nella nostra città non mancano mai. Mi appartengono tutte le operazioni di mercato, anche quelle già imbastite hanno poi ricevuto il mio avallo. So dove vuole andare a parare la domanda: a Diaby. Ma Diaby lo conoscevano tutti. Era in cima alla mia lista quando sembrava potessi approdare al Latina. Quando lo segnalai a Giove, il presidente mi disse che gli era già stato proposto e mi chiese se era così forte come si diceva in giro. Risposi che era da prendere immediatamente. Giove aveva già fissato un appuntamento col suo procuratore, io non ero ancora il direttore sportivo del Taranto. Ma quando s’è trattato di chiudere l’operazione, Giove ha preteso la mia consulenza. E ha definito la trattativa alle condizioni che ho suggerito io» Come spiega la circostanza che Taranto, la città dove è nato, è un po’ restia a riconoscerle la competenza calcistica che comunque le deriva da una carriera gonfia di partite, di campionati vinti e di soddisfazioni personali? «Chi sa di calcio, non mi ha mai fatto mancare la stima e l’affetto anche nei tre anni successivi alla mia ultima esperienza diretta con la società rossoblù. Devo essere sincero: la diffidenza ambientale non ha mai rappresentato un problema per me». La carriera di direttore sportivo, sinora sviluppatasi tra Taranto e Nola, riuscirà mai a pareggiare quella di calciatore? «Spero vivamente che riesca a superarla. Io non lotto per sopravvivere. Lotto per determinare. Non voglio essere uno normale. Dopo gli ultimi due anni di Taranto, è stata una mia scelta fermarmi un po’ per intraprendere la carriera di procuratore. Vi ricordo che Nzola arriva in Italia, alla Virtus Francavilla, grazie al mio intuito. Oggi gioca in A e ha già realizzato 7 gol con la maglia dello Spezia. Ma quando il mestiere del procuratore ha cominciato a non soddisfarmi più, perché volevo “rivivere” il campo, ho capito che dovevo fare una scelta: allenatore o direttore sportivo. Ho deciso di riprendere la carriera di direttore sportivo e due anni fa ho detto sì al mio amico De Lucia. Mi chiese di seguirlo al Nola e di aiutarlo. Assoluta libertà nella costruzione dell’organico ma budget limitato. Alla fine con quel Nola, che aveva la squadra più giovane del girone, siamo arrivati settimi, lanciando giocatori come Faiella che pescai dall'Eccellenza e che oggi è titolare in C nel Pontedera». Campitiello, Bongiovanni-Zelatore, Giove: dov’è la differenza? «Nella gestione. Quella di Campitiello, a cui mi lega un’amicizia profonda, è molto meticolosa. Lui è un accentratore. Capisce di calcio ma tende a fidarsi di chi la sa più lunga. Mi ha insegnato la managerialità. Abbastanza tranquilla la gestione tecnica di Bongiovanni e Zelatore, che però si fidavano troppo delle persone del loro entourage, anche se estranee al calcio. Giove, invece, è un appassionato. Lascia completa libertà di scelta ma vuole avere chiara la situazione. Gli piace affrontare ogni argomento. Non interferisce. Insomma, è lontano dalle gestioni un po’ fumantine del passato. Oggi è molto più equilibrato. Non so se è un mio merito. Ma è diventato più riflessivo. Ed è molto attento ai conti». Lei quest’anno è sicuro di vincere. Non lo ha mai dichiarato pubblicamente ma ci risulta che lo pensi sul serio. «Sono sicuro di essere competitivo sino alla fine. Non posso dire di essere sicuro di farcela. Perché mi manca un tassello. E non parlo di calciatori». Laterza che allenatore è? «Ha qualità. È preparato, meticoloso, attento. È un tecnico di grande prospettiva. Abbiamo giocato insieme nel Lizzano, 25 anni fa. Non lo conoscevo. Ma l’anno scorso l’ho visto all’opera in tre partite. Mi colpì la sua conduzione nella semifinale di Coppa Italia a Torre Annunziata. Giove mi ha dato carta bianca anche nella scelta dell’allenatore. Volendo, avrei potuto cambiare. A me è bastato parlarci per convincermi della bontà della scelta fatta». Parliamo di under. A Sposito, Marino, Ferrara e Serafino, ha aggiunto Boccia, Santarpia, Mastromonaco, Shehu, Marrazzo e la perla più rara: Diaby. Giudizio personale: è il parco under più solido e spendibile degli ultimi anni. «Lo penso anche io. Giro tanto per i settori giovanili e vedo un sacco di partite. Per me sbagliare un under è un errore imperdonabile. C’è più di qualche giocatore di prospettiva. Boccia, per esempio, giocava e non giocava nella Primavera della Juve Stabia. Mi sta sorprendendo molto. Quando decisi di portarlo al Taranto, qualche mio collaboratore ha cercato di dissuadermi. Ma ho dato ascolto alle mie sensazioni. E il campo mi sta dando ragione». Sul mercato il Taranto sta cercando di perfezionarsi. Che cosa manca? «La punta è già stata individuata. Aspettiamo di definire l’operazione. Stiamo facendo delle valutazioni sulla necessità di ingaggiare un altro interno di centrocampo, potendo il Taranto passare con naturalezza dal 4-2-3-1 al 4-3-3, sistema quest’ultimo per il quale sarebbe utile dotarsi di un altro intermedio». Com’è il suo rapporto con Galigani? «Buono. Io ho il mio campo d’azione, che rimanda alla gestione dell’area tecnica. Lui è il consulente personale del presidente. Si lavora cercando di fare, ogni giorno, il bene del Taranto». Un errore ingaggiare Stracqualursi, limitando la verifica conoscitiva alla visione di qualche filmato? «Non è andata così. La trattativa è durata un mese: dal 2 agosto al 2 settembre. Quando mi è stato proposto, ho cercato di capire come stesse. Ho analizzato video della passata stagione, considerato che in Argentina non s’è giocato per sette mesi. Le qualità non si discutono. Ma quando è arrivato con dodici chili in più, ci siamo un po’ allarmati. Dopo gli infortuni di Corvino e Alfageme, non c’era più il tempo per recuperarlo. Sono venute a mancare le garanzie fisiche. Eravamo al cospetto di un errore e abbiamo riparato». La distanza che separa il popolo-tifoso dal Taranto sembra, progressivamente, diminuire. Non c’è il riscontro degli spalti. Ma sembra lievitata la voglia di rimettere il Taranto al centro delle discussioni di ogni giorno. Rompere l’isolamento e ricucire lo strappo: è una missione possibile? «Quando sono entrato nello spogliatoio per la prima volta, ai ragazzi ho detto semplicemente che l’obiettivo primario era quello di riportare la gente allo stadio. Facendola nuovamente innamorare. Come? Con il lavoro e l’impegno. Ricucire quello strappo è il tassello che ci manca e a cui facevo riferimento qualche risposta fa». La classifica del girone H è già indicativa o ci sono squadre destinate a crescere e riemergere? Insomma, la selezione è già avvenuta? «Le prossime dieci giornate aggiungeranno le verità mancanti. Ci sono molte squadre potenzialmente attrezzate per il salto. Il Casarano e il Bitonto sono piene di individualità. Il Sorrento mi sembra solido. Il Lavello ha un gioco corale. Il Picerno ha la qualità più alta. E poi c’è il Taranto...». Il Papa, in una recente intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, ha detto che «chi vince non sa cosa si perde». Perdere aiuta a vincere, se da ogni sconfitta si ricava un insegnamento. A quale sconfitta pensa quando deve rimboccarsi le maniche? «Mi piace ricordare due partite che mi hanno lasciato il segno. Da direttore sportivo: Taranto-Serpentara. Perdemmo in casa e mancammo l’aggancio al primo posto. Una lezione. Da calciatore, la finale playoff per la B con l’Avellino della stagione 2004-2005. Su quella sconfitta il Napoli rimbalzò come una molla. Dopo quella sconfitta, davanti al Napoli si spalancò una discesa fiorita. Fu una marcia inarrestabile verso la gloria».  

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