Opposizioni all’attacco del ministro: “Nessuna strategia, solo disastri”. Da Iv a M5S fronte unito: “Lo Stato intervenga subito”
Il caso ex Ilva di Taranto torna al centro dello scontro politico nazionale, con una raffica di dichiarazioni che chiamano in causa in modo diretto Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, accusato di aver gestito in modo fallimentare la vicenda dell’acciaieria.
Tra i più critici Raffaella Paita, senatrice di Italia Viva, che parla senza mezzi termini di “fallimento totale. La situazione dell’ex Ilva è ormai drammatica. Urso, dopo aver ignorato per mesi i segnali di crisi, ora ammette che lo stabilimento rischia la chiusura e che ci saranno altri licenziamenti e cassa integrazione. È gravissimo. Dovrebbe dimettersi”, afferma Paita, che aggiunge: “Il Governo non ha mosso un dito, né a livello europeo né sul fronte nazionale, per superare gli ostacoli normativi e dare impulso al rilancio del sito. Domani Urso dovrà rispondere in Parlamento anche di questo disastro”.
Dello stesso avviso Tino Magni, senatore dell’Alleanza Verdi e Sinistra, che parla di “ennesimo disastro targato Urso”. “L’ex Ilva è il riflesso di un approccio confuso, sbagliato e inadeguato da parte del Governo. La crisi si aggrava e la responsabilità è tutta politica. Serviva avviare la decarbonizzazione, servivano investimenti e risposte concrete sulla salute dei cittadini. Invece si è scelta l’inazione, lasciando i lavoratori in balia dell’incertezza. La cassa integrazione non può diventare la soluzione permanente”.
Ancora più duro Angelo Bonelli, deputato AVS e co-portavoce di Europa Verde, che accusa il Governo di “attaccare chi difende la salute pubblica. Dopo aver negato la realtà per anni, ora si punta il dito contro Arpa e Procura, che hanno solo fatto il loro dovere. Dopo un incidente gravissimo all’Afo1, invece di garantire trasparenza e sicurezza, si difende l’indifendibile. E intanto si autorizza un’AIA che prevede l’uso del carbone per 12 anni, ignorando completamente la direttiva europea sulle emissioni”. Bonelli parla di “bomba sanitaria” e denuncia il tentativo fallito di cedere l’azienda a Baku Steel, “un’operazione senza basi, mascherata da soluzione”. La proposta, per il deputato, è chiara: “Si avvii una vera riconversione, si utilizzino strumenti europei come il Just Transition Fund e si guardi a modelli virtuosi come Bilbao e la Ruhr”.
Critico anche Leonardo Donno, deputato del Movimento 5 Stelle, che parla di “gestione disastrosa da parte di Urso” e di “trattativa fallita con Baku Steel”. “Siamo a un punto di non ritorno. Lo stabilimento crolla, e con lui quasi 4mila posti di lavoro. Il Governo ha fermato bonifiche e investimenti, puntando tutto sul ritorno al carbone. Una visione miope e anacronistica, che ha bruciato 1,5 miliardi di denaro pubblico. I tarantini meritano rispetto, ma da Roma arriva solo silenzio”.
Invita alla responsabilità istituzionale Ubaldo Pagano, deputato del Partito Democratico, che esorta a smettere con “il fuoco incrociato di accuse. L’incendio del 7 maggio è figlio di anni di abbandono. Non è credibile scaricare tutto sulla magistratura: bisogna invece riflettere su come sia stato possibile riattivare l’Afo1 senza le dovute manutenzioni all’Afo2. Se non c’è un acquirente credibile, tocca allo Stato fare la sua parte”. Pagano chiede che il Governo “non lasci morire lentamente la fabbrica” e che si proceda alla “decarbonizzazione graduale ma completa, per dare un futuro a Taranto e ai suoi lavoratori”.
Le opposizioni si preparano dunque a incalzare il ministro Urso, che domani, mercoledì 14 maggio, dovrà riferire in aula sulla vicenda. Sul tavolo non c’è solo la tenuta occupazionale e produttiva dell’ex Ilva, ma anche una questione più ampia: la credibilità dell’intervento pubblico in una crisi industriale che dura ormai da oltre un decennio e che rischia di trasformarsi in una frattura definitiva tra istituzioni e territorio.
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