Sulla gestione dell’ex Ilva si alza il livello dello scontro politico e sindacale. Il ministro Adolfo Urso, titolare del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, finisce nel mirino di M5S, Pd e delle principali sigle sindacali, accusato di immobilismo, fallimento nella trattativa con Baku Steel e di aver sperperato 1,5 miliardi di euro senza risultati concreti.
“L’ex Ilva è una catastrofe annunciata, Urso va rimosso – dichiara Mario Turco, vicepresidente del M5S e coordinatore del comitato Economia, Imprese, Lavoro -. Ha sprecato tempo e risorse, bloccato la nazionalizzazione e fallito sia sul fronte industriale che ambientale. È tempo che lo Stato torni a gestire direttamente il sito siderurgico”.
Sulla stessa linea Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in Commissione Bilancio: “Urso si è accorto del disastro solo dopo l’incendio del 7 maggio all’altoforno 1. Oggi tutto è fermo: l’altoforno 2 non è attivo, Afo1 è collassato, il negoziato con Baku Steel è in stallo e l’AIA manca. Il conto? Un miliardo da pagare per 477 prescrizioni ambientali ancora aperte”.
Anche il fronte sindacale chiede un cambio di passo deciso. La Usb, con Francesco Rizzo e Sasha Colautti, invoca la nazionalizzazione immediata dell’impianto: “Lo Stato deve intervenire, garantire continuità produttiva, avviare la decarbonizzazione e tutelare occupazione e diritti. Serve un piano straordinario anche per Sanac e ammortizzatori universali per i lavoratori degli appalti”.
Critica anche la Fiom-Cgil. Il segretario Michele De Palma ha parlato di un tavolo sospeso perché il Governo “non ha dato risposte sufficienti su produzione, occupazione e investimenti. Lo Stato deve assumersi la responsabilità del futuro del sito”.
Per la Fim-Cisl, rappresentata da Ferdinando Uliano, “il negoziato con Baku è fermo per l’assenza di autorizzazioni e certezze economiche. Senza una visione chiara, non si potrà andare avanti nemmeno a breve termine”.
Lunedì 26 maggio è previsto un nuovo incontro al Ministero del Lavoro, ma i sindacati avvertono: se non arriveranno risposte concrete, non sono esclusi nuovi scioperi. L’ex Ilva resta un nodo strategico per l’industria italiana, ma oggi appare sempre più senza una guida unitaria, con l’intero progetto di decarbonizzazione e rilancio produttivo appeso a un filo.
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