Taranto: Laterza, ‘Approcciare bene sarà fondamentale’

‘So di allenare uno dei Taranto meno amati della storia, ma farò di tutto per conquistare fiducia della gente’

TARANTO
19.11.2020 14:54

Giuseppe Laterza nella foto Walter Nobile
Si gioca? Forse sì. E allora Giuseppe Laterza, allenatore del Taranto, a domanda risponde. Domenica, salvo ulteriori agguati del virus, c'è il recupero del derby col Brindisi allo «Iacovone».
A quali parametri guarda un allenatore quando l'ultima partita a cui fare riferimento è lontana oltre un mese?
«Non è facile riprendere da dove si è lasciato. Abbiamo comunque lavorato su determinati concetti, cercando di avere memoria di tutto ciò che è stato proposto e realizzato durante il ritiro e in questo primo scorcio di campionato. Mi preoccupa il ritmo-partita. Quello è impossibile conservarlo se non giochi. Peccato, perché stavamo cercando la massima convinzione e l'avevamo quasi raggiunta».
Sino alla sconfitta col Sorrento, che aveva capito del Taranto?
«Che aveva e ha enormi margini di miglioramento. L'ho detto subito che esisteva questa possibilità, intravista già nelle prime amichevoli. Avevamo avviato un percorso di crescita. E continuando a giocare, avremmo potuto inserire, di volta in volta, qualcosa in più sia dal punto di vista tattico che qualitativo e mentale».
Che campionato sarebbe stato senza le interruzioni imposte dalla pandemia?
«Non è più ciò che ognuno di noi aveva sperato che fosse. Mi sembra superfluo ricordarlo. Andavamo incontro a un campionato competitivo, combattuto, incerto. Con le difficoltà e le asprezze tipiche del girone H. L'ingresso di Bitonto e Picerno aveva inoltre aggiunto qualità. Insomma, c'era ricchezza di contenuti. C'è ancora, ma il virus l'ha rimessa in discussione. Può accadere di tutto».
Ha senso continuare ad andare avanti così? Sino a che punto è giusto che il calcio accetti continui compromessi col virus?
«Non vogliamo mollare. Stiamo cercando una non facile convivenza. Fermarsi definitivamente sarebbe come arrendersi, non un bel segnale. Il calcio è capace di regalare momenti di normalità. Quella normalità che il virus, invece, vorrebbe negarci per sempre».
Ma che calcio ci sta restituendo? Forse un calcio più pensato, da scorrimento lento. Valori come la corsa, l'agonismo e il temperamento sembrano ora meno decisivi.
«Purtroppo il virus è entrato nella testa di ognuno di noi e sta cambiando il nostro modo di pensare e di agire. Vale per tutti, dunque anche per i calciatori. Ma sono altrettanto convinto che quando questa storia sarà finita, il calcio recupererà per intero le sue prerogative. Tornerà tutto al massimo: passione, agonismo, applicazione, intensità».
Domenica si riparte e rischia di essere totalmente un nuovo inizio. Che cosa c'è di già acquisito nel patrimonio di conoscenze dei suoi giocatori?
«Ci stavamo costruendo una mentalità e penso che di quella rimanga traccia. Non può essersi dispersa, anche se ci siamo solo allenati. Niente amichevoli, niente riscontro del lavoro svolto. Ripeto: è il ritmo-partita che mi preoccupa maggiormente».
Si segna troppo. Gli spalti vuoti deresponsabilizzano (gli attaccanti si sentono più liberi di osare la giocata) oppure distraggono (i difensori vanno spesso incontro ad errori di concetto). È così?
«Senza tifosi, la percentuale di attenzione tende a calare. I difensori soffrono di più questa innaturale condizione. L'attaccante, invece, si sente meno sotto pressione. Se sbaglia, non piovono fischi. E ci riprova. Ma siamo professionisti: alla fine decide la testa».
Ogni allenatore ha un modulo di riferimento, ma il pensiero unico non è mai un buon affare. Immagina prossimamente un Taranto che possa derogare dal 4-2-3-1?
«Per me i numeri hanno un valore relativo. Atteggiamento e sviluppo variano durante la partita. A volte basta spostare la palla, far salire il terzino e in quel momento si realizza lo sviluppo con un modulo diverso. I numeri di partenza puoi mantenerli nella fase di non possesso. Nella fase di possesso cambia tutto. E gestisci l'interpretazione in funzione dell'avversario che incontri. Si può partire col 4-2-3-1 ma se gli avversari rispondono col 3-5-2 lo sviluppo del gioco, in fase di possesso, può diventare 3-4-3 o 4-3-1-2, mettendo un uomo fra le linee. Insomma, c'è una mutabilità di posizioni e atteggiamento che è suggerita dal campo».
L'impressione, nelle poche partite sin qui disputate, è che il gioco del Taranto, per come è strutturato, sia condannato a diventare direttamente rifinitura. È un giudizio corretto?
«Col Sorrento il Taranto ha avuto una efficace fase di costruzione. È mancata la finalizzazione. Io ricordo una buona gara. Non abbiamo il classico play ma Matute e Marsili sanno fare entrambe le fasi. Forse l'impressione è acuita dal fatto che spesso cerchiamo di ribaltare l'azione in zona alta. Ma è ciò che voglio e chiedo».
C'è un giocatore che non conosceva e che la sta stupendo?
«Preferisco non parlare del singolo. Alleno un gruppo nuovo. E lo alleno sapendo che è sano e compatto».
Per gli equilibri della squadra che ha sempre avuto in testa è più grave l'infortunio di Corvino o di Alfageme?
«Sono giocatori importanti e rappresentano due perdite pesanti. Contavamo molto sul loro contributo. La società è corsa ai ripari. Sono arrivati Falcone, Calemme, Acquadro, Stracqualursi. Portano altre caratteristiche e, dunque, soluzioni diverse».
La partita col Brindisi è una specie di viaggio nell'ignoto. Difficile fare delle previsioni. Lei come se l'immagina?
«Il periodo di stop inciderà. Me l'immagino un po' bloccata all'inizio. Ma non sbagliare l'approccio sarà fondamentale. Poi Taranto-Brindisi diventerà bella e avvincente. Conosco De Luca. Le sue squadre hanno cultura tattica. Sanno sempre cosa fare».
Inutile negarlo, non c'è solo la pandemia a rendere anomala la stagione. C'è anche questa persistente ostilità ambientale. Allena uno dei Taranto meno amati e considerati degli ultimi vent'anni. Avverte la diffidenza che c'è in giro? E come la gestisce?
«Mi dispiace tanto. Quando ho accettato di guidare il Taranto ero consapevole di andare incontro a una situazione difficile. Col gruppo sono stato chiaro. Dare il massimo per recuperare la fiducia della gente: non abbiamo alternative. Riportarla allo stadio, purtroppo, non dipende soltanto da noi. Ma riconquistare l'affetto e la considerazione dei tifosi resta la nostra missione. Io credo che possiamo farcela». (La Gazzetta del Mezzogiorno - Lorenzo D'Alò)

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