ArcelorMittal: Usb, ‘Cassa integrazione estesa ad altri 1000 lavoratori’

CRONACA
Iv.
11.09.2020 23:55


ArcelorMittal vorrebbe estendere la cassa integrazione ad altri 1000 lavoratori, che si andrebbero ad aggiungere alla platea già piuttosto ampia dei circa 4000. A lanciare l’allarme in un comunicato stampa è il coordinamento esecutivo USB Taranto: “Purtroppo si avvera quel che l’Usb aveva ampiamente previsto: Arcelormittal vorrebbe estendere la cassa integrazione ad altri 1000 lavoratori, che si andrebbero ad aggiungere alla platea già piuttosto ampia dei circa 4000 su un totale di 8.200 dipendenti. Dunque 5000 in tutto le unità lavorative interessate e prese in carico da Invitalia, di cui 3000 in cassa integrazione a zero ore e 2000 destinati presumibilmente a rientrare in un processo di terzializzazione”. “Prevedibile – si legge nella nota dell’USB – che nel passaggio dalla multinazionale alle ditte esterne si possano perdere garanzie. Nei programmi dunque si parla di un organico che rimarrebbe nel circuito aziendale in regime ordinario non superiore alle 3000 unità, con una produzione annuale che non supera i 3 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Previsioni che chiaramente portano la fabbrica verso un inevitabile collasso. Ci dispiace ripetere che l’USB aveva messo in conto ciò che ora si sta concretizzando e spiace anche rilevare che ciò accade con il silenzioso sostegno di un Governo incapace di gestire questa vertenza e che dunque asseconda il metodo utilizzato dal gruppo franco-indiano: “Divide et impera”. Lo schema dunque sarebbe: una parte di lavoratori in As, una in Arcelormittal, una in Invitalia, quest’ultima a sua volta divisa tra coloro che sono in cassa integrazione e altri che potrebbero passare a ditte esterne. Un modo di procedere inaccettabile che non fa bene nè ai lavoratori, nè al territorio”. “Tutto ciò – conclude il comunicato a firma dell’Usb – non può che portare prima o poi alla chiusura della fabbrica dal momento che non c’è alcuna programmazione, nè accordo di programma o altri meccanismi che possano garantire i diritti di cittadini e lavoratori. Va detto inoltre che, se si dovesse realizzare quanto detto, lo stabilimento verrebbe gestito per il 90 % con risorse pubbliche e col minimo impegno di Mittal. USB rifiuta questo schema e chiede che la multinazionale venga messa alla porta per aprire un nuovo capitolo, nazionalizzare la fabbrica e riconvertire attraverso un accordo di programma che possa garantire tutti”.

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