“Non intendo unirmi alle ipocrisie di chi oggi esalta chi in vita ha duramente criticato. Il mio giudizio politico, umano e storico resta irrimediabilmente negativo”
“So che molti si aspettano una mia reazione. Giancarlo Cito è stato più di chiunque altro nel mirino delle mie denunce, e io nel suo. Nessuno a Taranto è stato più distante da me sul piano culturale, politico, morale e umano”.
Inizia così il lungo e intenso messaggio social pubblicato da Mario Guadagnolo, ex sindaco di Taranto negli anni Ottanta, a poche ore dalla morte di Giancarlo Cito. Un commiato non convenzionale, in cui il protagonista di una delle rivalità più aspre della politica tarantina rievoca con lucidità e profondità uno scontro segnato da tribunali, offese, condanne e infine un inatteso gesto di riconciliazione.
“Cito fece del male a me e alla mia famiglia in maniera cinica e intenzionale, portando all’interruzione della mia carriera politica. Lo portai in tribunale due volte e fu condannato per diffamazione. Ma dopo la prima sentenza, quando in pubblico ebbe l’onestà di dire che ‘Mario Guadagnolo è stato un galantuomo e un grande sindaco’, ritirai la querela. Mi bastava. Non cercavo risarcimenti, ma giustizia morale”.
Guadagnolo, tuttavia, respinge le celebrazioni postume: “Non intendo unirmi alle ipocrisie di chi oggi esalta chi in vita ha duramente criticato. Il mio giudizio politico, umano e storico su Cito resta irrimediabilmente negativo”.
Eppure, di fronte alla morte, anche l’antagonismo più aspro si dissolve. “Quando seppi della sua malattia, chiesi a un amico comune di andarlo a trovare. Mi fu detto che non era più in grado di riconoscere nessuno. Mi dispiacque allora e mi dispiace oggi”.
Nel messaggio, carico di riferimenti letterari e spirituali, Guadagnolo richiama l’episodio del Lazzaretto nei “Promessi Sposi”, dove Padre Cristoforo invita Renzo al perdono davanti al morente don Rodrigo. “Alla fine, di fronte alla morte, non resta che la pietà, il silenzio e il capo chino. Il rispetto, il perdono e la speranza. Non quella predicata dai preti, ma quella umana che chiede alla vita di non finire del tutto”.
Un addio amaro, ma profondamente umano, rivolto a un rivale che ha segnato un’epoca, e la vita stessa di chi oggi ne scrive l’ultimo capitolo.
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