Sono 3,7 milioni gli italiani che vivono con un cancro. Allarme mobilità: Sud in fuga verso Nord per cure migliori
“Nel post-Covid il vero problema sono le altre malattie, in primis quelle oncologiche, trascurate con visite saltate e una prevenzione scesa a livelli inaccettabili”. Lo ha dichiarato Orazio Schillaci, ministro della salute, in occasione della presentazione del 17° Rapporto Favo sulla condizione assistenziale dei malati oncologici.
A preoccupare, secondo Schillaci, è anche l’aumento dell’incidenza dei tumori tra le fasce più giovani della popolazione. “Abbiamo programmi di screening e vogliamo estendere la fascia delle persone che possono accedervi”, ha spiegato il ministro.
“Stiamo lavorando allo screening per il cancro al polmone guardando alle persone con minori possibilità economiche – ha aggiunto il ministro -. La legge sulle liste di attesa va proprio in questa direzione, è importante anche e soprattutto per i pazienti oncologici. Oggi abbiamo in campo un sistema che funziona perché la piattaforma Agenas funziona e ci fa capire con celerità e accuratezza le prestazioni che mancano e dove ci sono più ritardi. Su questo punto noi siamo per aiutare le regioni e intervenire solo e sempre per l’interesse dei cittadini”.
Quanto ai molecular tumor board per le analisi genetiche dei tumori, Schillaci ha rilevato che la situazione è a macchia di leopardo con incongruenze tra le regioni. “Allargheremo ancora di più le prestazioni dei Lea e bisogna sempre di più andare verso la medicina personalizzata perché questo significa andare nell’interesse del paziente e evitare terapie inutili per il malato e per l’Ssn”.
Il rapporto Favo, presentato in concomitanza con la XX Giornata nazionale del malato oncologico, rileva che nel 2025 sono 3,7 milioni gli italiani che vivono dopo una diagnosi di tumore. La legge di bilancio 2025 introduce una svolta: le organizzazioni di pazienti entrano formalmente nel sistema sanitario nazionale e diventano protagoniste delle Reti oncologiche regionali.
“È una rivoluzione epocale”, ha commentato Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo). “I pazienti parteciperanno ai principali processi decisionali in materia di salute, nonché alle consultazioni con l’Agenzia Italiana del Farmaco. Tuttavia, restano disomogeneità territoriali e difficoltà burocratiche”, ha aggiunto.
Per garantire un funzionamento omogeneo delle Reti oncologiche, Favo è stata nominata componente del Coordinamento generale delle Reti Oncologiche (Cro), che dovrà essere avviato al più presto.
Nel frattempo, Favo, in collaborazione con Agenas, ha elaborato un documento (ora in fase di approvazione presso la Conferenza Stato-Regioni) che delinea un percorso di istituzionalizzazione delle associazioni dei pazienti. “Il volontariato oncologico oggi occupa un posto nella stanza dei bottoni”, ha sottolineato De Lorenzo.
“L’oncologia è uno degli ambiti dove l’associazionismo ha acquisito competenze progettuali riconosciute”, ha aggiunto Elisabetta Iannelli, segretaria Favo.
Francesco Perrone, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), ha osservato che nel 2030 saranno circa 4 milioni gli italiani che vivranno dopo una diagnosi di tumore, pari al 7% della popolazione. “Serve una nuova organizzazione più performante dell’oncologia, che tenga conto dei pazienti cronici, delle terapie domiciliari e delle comorbilità”, ha affermato.
Una criticità persistente è rappresentata dalla mobilità sanitaria interregionale, come evidenziato da Carmine Pinto, coordinatore della Rete oncologica dell’Emilia-Romagna: “Nel 2022 la mobilità ha generato una spesa di 2 miliardi di euro. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto assorbono oltre la metà dei ricavi”.
“Le Reti oncologiche possono migliorare l’efficienza territoriale e ridurre la fuga dei pazienti”, ha concluso Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom. L’obiettivo è una presa in carico efficace e condivisa, che garantisca appropriatezza terapeutica e uguaglianza di accesso alle cure.
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