22 maggio 1988: Il Taranto scrive la storia al ‘Grezar’ di Trieste

Trent’anni dopo, Vittorio Galigani, allora diesse rossoblu, ripercorre quell’indimenticabile weekend

TARANTO
21.05.2018 14:18

Trieste, città stupenda. Era il 21 maggio 1988, sabato sera. Sono trascorsi trent’anni. Passeggiammo fino a notte fonda io e Toni Pasinato. Ripetemmo all’infinito il tratto che, costeggiando il mare dall’hotel Trieste dove eravamo alloggiati, conduceva alla bellissima, monumentale piazza dell’Unità d’Italia. Ci confidavamo speranze e preoccupazioni. Conoscevamo l’importanza, assoluta, di un risultato positivo conseguito in terra giuliana. Mancavano ancora 450 minuti al termine della stagione regolare. Non volevamo assolutamente gettare alle ortiche quanto, con grande sudore e sacrifici, avevamo costruito nel corso del campionato. Toni, solitamente tranquillo e serafico, avvertiva come me le insidie che si nascondevano nella pancia di quella partita. Delicatissima. Uscire sconfitti dal Grezar avrebbe complicato il nostro percorso verso la salvezza. L'obbiettivo, inseguito per tutta la stagione.

Pasinato non aveva mai trasmesso alla squadra le sue preoccupazioni. Era una delle doti più positive del suo carattere. Anche in quella occasione non si perse d’animo. Sul pullman che ci accompagnava allo stadio iniziò a fischiettare, come era solito fare, un “motivetto” che andava a quei tempi di moda.

Radunò i ragazzi nello spogliatoio. Pose l’accento sul fatto che, in definitiva, si trattava solo di una partita di calcio. Che tutti dovevano sentirsi gratificati per essere stati scelti dal destino per esserne gli attori principali. Solo loro, ribadì con forza, avevano il potere di rendere indimenticabili quei 90 minuti.

Ogni qual volta salivamo a giocare nel settentrione, per i tarantin trasferitisi in quelle zone era motivo per riavvicinarsi, anche se solo simbolicamente, ai colori e agli affetti della propria terra. Anche quel giorno “Forza ragazzi Taranto vi ama” era scritto su un enorme striscione che troneggiava appeso alle reti della curva. Erano in cinquanta, ma facevano più tifo loro che tutto il resto dello stadio.

Non sarebbero rimasti delusi.

Tra gli alabardati c’erano calciatori di grande spicco. Su tutti il “barone” Causio. E poi Cinello, Cerone, Iachini e altri. Rientrava tra i pali, dopo dodici giornate di squalifica, Gandini, uno spilungone alto quasi due metri.

La partita fu un turbinio di emozioni. Indimenticabili.

Pronti via. Gianpaolo Spagnulo neutralizzò un rigore calciato da Iachini. Poco dopo Roselli, il piccolo Giorgio, sbeffeggiò con un colpo di testa lo smilzo portiere avversario. Gandini correva nella propria area a raccogliere farfalle. Incapace di abbrancare quel pallone che, beffardo, scendeva verso rete. Un pallonetto imprendibile.

Pareggio avversario quasi immediato e nostro nuovo vantaggio su autorete. Lungo rilancio di Spagnulo che, rimbalzando, arrivò indisturbato nell’area avversaria. Mise in difficoltà la difesa triestina rimasta immobile. Impalata. Il giovane Poletti non trovò soluzione migliore che depositare nella propria porta. Scavalcando il malcapitato Gandini con uno sciagurato tocco all’indietro.

Alcuni minuti e Pezzella, il direttore di gara, concesse la regola del vantaggio per un fallo su Paolucci che si stava involando sulla fascia destra. La sfera stava rotolando verso l’area avversaria, Picci fu l’unico a credere in quella palla solo apparentemente innocua. La arpionò. Vinse, sul limite dell’area grande, un contrasto in scivolata. Con una finta mise a sedere in terra il portiere e depositò in rete. Indisturbato. Di piattone sinistro.

Tre a uno e palla al centro, sembrava di sognare. Neanche il tempo di gioire che he la Triestina accorciò le distanze. Andammo al riposo in vantaggio di una rete.

Roselli e Donatelli in occasione della seconda rete dei padroni di casa si erano beccati in campo per un malinteso. Lo screzio si stava prolungando nello spogliatoio. Totò Devitis li abbracciò entrambi: uno con il braccio desto, l’altro con il sinistro e li portò sotto la doccia e aprì l’acqua. Rimase lì sotto con loro un paio di minuti. Non ci fu più bisogno di aggiungere altro.

Il ritorno in campo fu traumatico. Pazzini in bambola totale atterrò Cinello in area. Fu calcio di rigore. Poi si fece anticipare di testa. In cinque minuti eravamo andati sotto. Perdevamo quattro a tre.

Pasinato, correndo ai ripari, sostituì il difensore con Bruno Russo. Poco dopo fece entrare anche Gilberto D’Ignazio (era al suo esordio stagionale dopo il brutto infortunio patito nel ritiro di Acri) al posto di Picci. Vittima di una contrattura. La Triestina, partita con una penalizzazione di cinque punti, spalancava le porte della salvezza aprendo una voragine profonda sul nostro futuro immediato. Ma non era ancora finita! Il cronometro non aveva ancora compiuto un giro completo di lancette che Giorgio Roselli punì di nuovo l’esterrefatto Gandini. Lo infilò con una punizione radente, raso terra e a fil di palo sulla sua destra. Imprendibile. Era di nuovo parità. Mancavano 38 minuti al fischio finale. Doveva ancora succedere di tutto. Quell’acuto di Giorgio aveva riacceso le nostre speranze. La squadra ricominciò a macinare gioco. Mise continuamente in difficoltà gli avversari. I nostri ragazzi stavano giocando a memoria. A 15 minuti dal termine, Pezzella fischiò una punizione a nostro favore. Cinque metri fuori area. Leggermente spostata sulla sinistra. Era, quella, la “mattonella” preferita da Sergio Paolinelli.  “Sergio, tira la bomba…tira la bomba…” invocarono in coro quei cinquanta che erano in curva. Dietro la porta. Il pallone, calciato con forza, si infilò prepotentemente all’incrocio dei pali. Un siluro imprendibile. La gente, incredula in tribuna, cominciò a chiedersi quale fosse il risultato. Eravamo di nuovo in vantaggio. Cinque a quattro. A un minuto dalla fine, con la difesa dei rossoalabardati allo sbando più totale, Gandini atterrò in area De Vitis prendendolo per le caviglie. Rigore sacrosanto che lo stesso Totò si incaricò di trasformare. Appena il tempo di mettere la palla al centro che Pezzella dette il triplice fischio di chiusura. Poi tutti nello spogliatoio a esultare.

In quaranta minuti eravamo passati dall’inferno al paradiso. A quattro giornate dalla fine avevamo messo una seria ipoteca sul nostro obbiettivo principale: l salvezza.

I ragazzi non lo avevano percepito, ma quel 22 maggio 1988, nello stadio in cui era iniziata la carriera del “paron” Nereo Rocco, era stata scritta una pagina emozionante e indimenticabile del calcio rossoblu. Uno spaccato di storia calcistica da ricordare e raccontare. Sempre. Con orgoglio.

La domenica successiva sarebbe sceso allo Iacovone l’Arezzo. Ansimava nelle zone basse della classifica. Era allenato da Antonio Valentin Angelillo, un mito del calcio argentino e dell’Inter. Assieme a Omar Sivori e Humberto Maschio, prima di trasferirsi in Italia, aveva composto un tridente famoso in tutto il mondo. Li chiamavamo “gli angeli dalla faccia sporca”. Recitavano calcio spettacolo. Inventavano giocate fantasiose. Facevano gol a grappoli.

Ma quella era tutta un'altra storia.

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