Teatro: Ale e Franz, anche una virgola è importante

Sold out all’Orfeo di Taranto per “Tanti lati-latitanti”

CRONACA
Redazione
11.02.2017 11:09

La straordinarietà della lingua italiana, le sue combinazioni e i suoi molteplici sensi nati dalle stesse parole. Il tutto stillato dalla comicità intelligente di Ale e Franz. 

Il teatro Orfeo di Taranto letteralmente gremito, un sold out che rende merito a due ore di spettacolo senza pausa. Il duo comico milanese con “Tanti lati – latitanti” ha fatto ridere e riflettere. Solo alla fine della performance viene svelata l’origine della loro messa in scena: i racconti di un vecchio manicomio del capoluogo lombardo, chiuso da tempo. Le frasi, i pensieri, le emozioni e le paure dei pazienti, scritti su alcuni foglietti raccolti da una psichiatra che ha salvato un patrimonio di carta e che sapientemente Alessandro Besentini e Francesco Villa hanno portato sul palco.

Si inizia dalla storia surreale di una coppia che si ritrova dopo tanti anni. Enrico scalpita per rivedere la sua vecchia fiamma Maria, che però nel frattempo e diventata Mario. I due si ritrovano a cena e sfornano come portate principali vecchi ricordiconditi da doppi sensi, liti fatte di rimproveri verbali e insalate lessicali. Ad insaporire la cena, la notizia che tutta la famiglia di Mario ha cambiato sesso: il fratello è diventato la sorella, la madre adesso è il padre e viceversa.

Si cambia scena con un intermezzo che si ripete per ogni stacco, in un’atmosfera buia e illuminata solo da un albero spoglio sul quale, non si sa per quale motivo, Ale cerca sempre di arrampicarsi mentre esprime il suo desiderio di cercare Dio.

Le voci, che poi si scoprirà sono proprio degli ospiti del manicomio che ha ispirato lo spettacolo, lasciano lo spazio all’’interno di una chiesa. Si assiste al dialogo tra sant’Antonio da Padova (ma che in realtà è portoghese) e Alberto, ladro squattrinato di Bari (con il patrono san Nicola, che però è turco) che vuole rubare le monete delle offerte. La statua del santo, con tanto di bambinello dagli occhi psichedelici in braccio, cerca di far cambiare idea al poveraccio promettendoli una grazia. Il ladruncolo tra fede e disperazione abbandona il suo vile intento e, pur di usufruire del miracolo, lascia due euro (anche se ne bastava uno) come pegno.

Sempre senza alcuna sosta, dalla parrocchia si passa ad un tavolo e due sedie che ospitano una delle infinite chiacchiere tra due vecchietti che, nonostante il passare del tempo, hanno ancora la forza di prendersi in giro. Rigorosamente un passo alla volta, Ale si sfoga con il suo amico parlando della moglie Ernestina. “Cinquant’anni di matrimonio e nemmeno venti minuti di felicità”, disperato si lamenta perché non riesce a dormire visto che la sua dolce metà “russa tutta la notte”, togliendo anche questo primato che “di solito spetta all’uomo”. 

Le risate del pubblico pian piano vengono arricchite dalla riflessione sull’attuale momento politico-sociale del nostro Paese. Palmiro e Fidel, dopo aver trascorso la giovinezza insieme come attivisti del partito Comunista, a venti anni di distanza si incontrano all’ingresso di un seggio durante le elezioni. Fidel, nel tempo, è rimasto legato ai suoi ideali e sventaglia una copia dell’Unità sul volto dell’amico che, tra una predica sui valori del comunismo ed un appello all’uguaglianza tra i popoli, è preoccupato per la sua Porsche parcheggiata poco distante con all’interno il suo esemplare di levriero afghano costato quasi cinquemila euro. Le contraddizioni del Belpaese, i voltagabbana ed i falsi moralisti sono all’apice in questa sequenza dello spettacolo, ispirato ad un pezzo di Walter Chiari di sessant’anni fa e da allora, così come gli stessi Ale e Franz specificano, “In Italia non è cambiato un cazzo”. 

Tra il serio ed il surreale, mentre ritorna l’intermezzo dei due protagonisti che si incontrano sotto la neve, sempre vicino all’albero senza foglie, fa capolino nuovamente il ladro Alberto che torna in chiesa per ringraziare sant’Antonio della grazia ricevuta (anche se non si sa in realtà quale sia). Al suo posto però trova San Michele che fa il suo ingresso con tanto di spada e la colonna sonora del film “Il gladiatore” in sottofondo. 

E mentre il pubblico si aspetta di chiudere con l’ennesima risata, ecco che arrivano il silenzio e la commozione per la scelta di impreziosire tutta la rappresentazione con un filmato che ritrae Alda Merini. Sullo schermo la declamazione di un estratto della raccolta di poesie “Terra Santa”. Le “mura di Gerico”, le “mura del manicomio” che hanno fatto nascere i pensieri di una umanità in libertà semilibera e  che ha generato la fantasia di Besentini e Villa. 

E se alla fine ti ritrovi in piedi ad applaudire questi due alchimisti della lingua italiana, non è solo perché ti hanno fatto ridere, ma perché ti hanno aiutato a capire i tuoi tanti lati, troppo spesso davvero latitanti.

Di Fabrizio Cafaro

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