La C ‘muore’, non solo a Vicenza. Girone B da burla. Figc, non scherziamo

10.01.2018 22:33

La Serie C. Questa Serie C. Svilita da taluni suoi presidenti di club. Bistrattata anche dalle leggi dello Stato. Non ha futuro. Non esprime solvibilità. E’ carente in credibilità. In tutti i principi indispensabili per la sopravvivenza della categoria. Non ha più motivo di esistere, per come è strutturata e concepita. Le difficoltà ricorrenti hanno dimostrato il flop, in assoluto, del format attuale. Le risultanze negative delle gestioni finanziarie e sportive di tante Società impongono una riforma radicale. Modena e Vicenza sono soltanto le apripista di un “pianeta” che rischia di divenire virtuale. La Serie C che perde i “pezzi”per strada non si può accettare.

Lo Stato, per di più, non aiuta la categoria. La nuova legge Melandri sottrae alla Serie C cinque milioni di euro a stagione. Un taglio di circa centomila euro per ogni club. Somme che vanno ad aggiungersi ad altre perdite notevoli, a pioggia, stabilite da Coni. Situazioni di non poco conto per quelle casse che sono già esigue. Gravina. o chi per lui, dovrà cercare di recuperare quel denaro nelle more dei rapporti istituzionali. Un compito arduo e di difficile soluzione.

Il concetto che deve passare non è quello della riduzione del format per una migliore e più vantaggiosa ripartizione delle risorse economiche. Perchè meno siamo, meglio stiamo. No. Il taglio deve essere funzionale. Sulla onorabilità delle persone come sulla solvibilità e sul grado di sostenibilità delle società. Chi porta meno di mille paganti allo stadio non può certamente permettersi la categoria professionistica. Come chi non è dotato di idonee infrastrutture. Chi non è in grado di produrre ricavi autosufficienti.

Un campionato falsato quello della Serie C. Già dalla fine del girone d’andata. I deferimenti di Andria e Arezzo rappresentano soltanto la punta di un iceberg. Imminente quello del Siracusa (carente nel pagamento di emolumenti e contributi relativi ai mesi di settembre e ottobre) e di altri club che viaggiano coperti, provvisoriamente, dal silenzio delle Istituzioni. Le difficoltà di Lucchese, Akragas e Matera sono risapute. Per la Reggina parla il suo presidente che accusa, da sempre, la poca disponibilità di cassa. Alcuni club, anche tra quelli in maggiore sofferenza, stazionano in zona play off. Potranno operare, senza limitazioni, sul mercato di “riparazione” a dispregio di un metodo che va ampiamente rivisitato.

Quello che sta accadendo a Vicenza ha dell’assurdo. Si “deve” cancellare il club in tutta fretta. Prima della ripresa del campionato. Favorendo in tal modolo svincolo di tesserati che hanno attivato la procedura di messa in mora. Questa procedura è sostenuta dall’Associazione Calciatori. Un metodo inadeguato per la tutela del posto di lavoro a vantaggio soltanto di pochi. Nessuno, stranamente, intende percorrere la via del fallimento. L’apertura dell’esercizio provvisorio garantirebbe (per inciso) una maggiore regolarità del campionato. Infatti, sbattute fuori Modena e Vicenza, nel Girone B non ci sarebbero più retrocessioni. La parte bassa della classifica si offrirebbe alle considerazioni più disparate. Il denaro in Lega, nella disponibilità dei biancorossi, potrebbe essere utilizzato a copertura degli emolumenti ai calciatori e non solo. Una soluzione già attuata in altre piazze utile per dare continuità. Non è l’uovo di Colombo. Bastano buon senso e conoscenza della materia. Il Vicenza che perde quel poco che possiede, di patrimonio calciatori e la categoria di appartenenza, diventa una scatola vuota. Anni di tradizione sportiva cancellati con un colpo di spugna.

Il calcio che muore a Vicenza “riconduce” alla candidatura in Federcalcio di Damiano Tommasi. Ci si interroga su quanto potrebbe essere compatibile il ruolo di gestore del sistema (che andrebbe eventualmente a ricoprire) con quello svolto, da sempre, a tutela dei suoi associati. E quanto potrebbe poi essere equidistate e credibile nell’assumere decisioni che andrebbero incontrasto con l’interesse precipuo dei calciatori. I casi di Modena e Vicenza sono più di un semplice sintomo.

Su quella poltrona di via Allegri ci sono le attenzioni generali. Si disquisisce molto sui nomi, pochissimo sui programmi. Dimenticando con troppa facilità che è il denaro che fa ruotare il mondo. Le idee le porta, da sempre, il capitale. I calciatori fanno leva sulla necessità di volti nuovi trascurando che anche quella di Tommasi è ormai una immagine usurata. Di nuovo, invece, occorre l’unità di intenti. La volontà di gestire il sistema con progetti univoci. Armonici. Coscienti che per ricondurre il calcio italiano in competizione con altri Paesi europei occorrono anni di programmazione. In Germania (per esempio) ci è voluto un decennio. Un presidente federale eletto con uno scarto minimo di voti avrebbe vita breve. Basterebbe un “raffreddore” (o un “franco” tiratore) per mandarlo sotto in consiglio federale. E tra poco più di due anni, alla prossima tornata elettorale, il sistema starebbe ancora a leccarsi le ferite. Sulla imminente competizione affiora estemporanea la “campagna” sui social promossa da Tommasi. Il mai sopito interesse di Lotito per giungere a un incarico di spessore. Il desiderio di Gabriele Gravina di lasciare la propria impronta sul sistema. Condivisibile, in tutto questo, la linea di pensiero sulla quale si è attestato Cosimo Sibilia: senza la certezza di una maggioranza qualificata non è il caso di competere.

Con due riflessioni. Primo: il calcio italiano in mano a un sindacato è inaccettabile. Secondo: nel duello a distanza sulle alleanze (concrete) si consiglia di non dimenticare il ruolo recitato, nella vicenda, da Carlo Tavecchio. Nella “botte” vecchia c’è sempre il vino migliore, si usa dire. Il “grande vecchio”, sul calcio di casa nostra, ha cultura ed esperienza per insegnare. Sarebbe un errore, per chiunque, dimenticarsene.

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