No ai ‘percipienti’ (calciatori) alla guida del calcio. Sarebbe una ‘fesseria’...

02.01.2018 23:12

Siamo in periodo di campagna elettorale. Parliamo di calcio ovviamente. Tra le tante voci circola un’ipotesi “sponsorizzata” da chi non conosce le dinamiche di quel mondo o finge. Una suggestione dettata più dallo spirito “mitomane” verso i personaggi che dalle reali necessità. Sostengono, taluni, che il governo del calcio debba andare in mano ai calciatori. Più appropriato definirli i “percipienti”. Sarebbe invece, espressa con grande capacità di sintesi, la peggiore “fesseria” che potrebbe essere partorita dal sistema. Il calcio italiano gestito da un sindacato. Si farebbe ridere il mondo intero.

Un malcostume diffuso sul territorio tende a “mitizzare” la figura del calciatore. Una categoria, quella appunto dei calciatori, da sempre privilegiata agli occhi dei tifosi. Della massa. Su quella ipotetica governance del mondo del pallone ci si è “spesi” anche a livello di cognomi. Soggetti, tutti, ammirati più per le loro prestazioni in campo che per le loro dimostrate attitudini manageriali. I “percipienti” al comando del governo del calcio non si può proprio sentire. Perché tutto si può dire, contro i presidenti e gli addetti in generale, ma in definitiva i risultati sono frutto esclusivo della prestazione di chi va in campo. Infatti, sul dischetto, a battere il rigore, non ho mai visto Tavecchio, Sibilia, Gravina e in precedenza neppure Giancarlo Abete. Se l’Italia è stata esclusa dai prossimi mondiali in Russia i calciatori non sono esenti da responsabilità.

Si parla molto anche della necessità di volti nuovi nelle candidature presidenziali per la Federcalcio. Una valutazione, questa, che riempie la bocca di tanti. Damiano Tommasi rappresenterebbe, per taluni, il nuovo che avanza. La persona che sarebbe capace di realizzare validi progetti innovativi. Non si direbbe dal suo vissuto dirigenziale. In considerazione che dal maggio 2011 è alla guida del sindacato calciatori e che il suo contributo, in consiglio federale, non risulta sia mai stato determinante. Negli ultimi tempi le sue levate di scudi (sue e dei suoi sodali) e l’abbandono dei tavoli istituzionali hanno fatto più notizia delle istanze da lui presentate per una gestione migliore.

Forti spifferi di corridoio raccontano, tra l’altro, che tra i temi più importanti, sostenuti dal sindacato calciatori, vi sia quello che riguarda la riduzione del vincolo tra i dilettanti. Un interesse di parte, peculiare, in favore dei “percipienti”. Certamente non un vantaggio comune delle componenti e del sistema.

Sistema che vede le quattro Leghe (Serie A e B, Lega pro e Dilettanti) rappresentare il calcio italiano nella misura del 68 per cento della forza assembleare e votante. Un indice di maggioranza determinante, imposto peraltro dallo Stato (“messaggio”, questo, non trascurabile), che garantirebbe solidità e continuità di gestione. L’accordo raggiunto a un tavolo di concertazione, ragionando a sistema tra quelle componenti, escluderebbe l’intervento di chiunque altro. Restituirebbe il calcio ai suoi metodi di gestione più naturali ed appropriati.

Le risorse umane. Un falso problema. Una industria che fattura oltre 4 miliardi di euro a stagione non può, non deve impantanarsi sulla scelta degli uomini. Vale a livello di Lega. La Serie A deve, obbligatoriamente, strutturarsi nel volgere di pochi giorni. Riflettendoci la soluzione, nella massima espressione del calcio italiano, potrebbe essere facile e a portata di mani, più di quanto sino a oggi si è potuto immaginare. Vale anche a livello di Federazione. Entro metà gennaio tutte le componenti dovranno scegliere i loro rappresentanti. Suddividersi e frammentarsi affosserebbe il sistema. Cosimo Sibilia e Gabriele Gravina, papabili/possibili candidati, non debbono assurgere al ruolo di antagonisti. Un presidente eletto con uno scarto minimo di preferenze sarebbe destinato a naufragare. Sta alla capacità, lungimirante,delle Leghe coalizzare/convogliare le loro preferenze su un unico soggetto. Garantirebbe la continuità. Certificherebbe la solidità del programma. Il prescelto, quale espressione comune della maggioranza, risulterebbe inattaccabile.

Il tutto ripartendo da quanto di valido è stato fatto da Carlo Tavecchio nella sua gestione. Citando ad esempio sia i rapporti con le Istituzioni internazionali, quanto la ristrutturazione economico/finanziaria di via Allegri. Con un passaggio sulla modifica allo statuto della Serie A, sui principi informatori e sul successo economico ottenuto nella vendita del pacchetto estero dei diritti televisivi. Tanta roba. Per di più ottenuta in periodi di magra e di crisi. Il che autorizza a pensare che il sistema dovrà ancora avvalersi, nel futuro che verrà, dei consigli, validi e preziosi, del “grande vecchio”.

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